A venti anni dalla morte di David Maria Turoldo si è inevitabilmente condotti a interrogarsi sull’attualità dell’intera sua testimonianza. Al di là di propositi esegetici sull’opera poetica, per niente disgiunta peraltro dall’esperienza religiosa, anzi tramite d’ispirazione e trama esistenziale, ciò da cui un’associazione culturale come “Le Colone” si sente sollecitata è l’impellenza del messaggio turoldiano. Ha molto senso oggi dar voce a una “coscienza inquieta della Chiesa” che interpretò il proprio agire nel mondo come imprescindibile realizzazione di umanità: di questo avvertiamo l’alta ragione, il sentimento libero, la causa esaltante; di questo c’è bisogno oggi! Stare con Turoldo, comprenderlo, guardare il mondo attraverso i suoi occhi che ne trapassano il pianto con fede, cuore, poesia, comporta assumerne il potenziale trasgressivo e, insieme, edificante.
Nella piccola privilegiata parte di mondo in cui viviamo, preservata dal dramma della fame, dalla sistematica violazione dei diritti umani, dalla guerra, siamo in una sorta di presente continuo a scorrimento superficiale, assoggettato alla velocità e all’ubiquità (virtuale!). Ne consegue una dissipazione dell’esperienza, tra eccitazione e smarrimento. Ci perdiamo nelle malie allungate d’insignificanti appagamenti, con caduta di valore. Il fermarsi riflessivo, ancorato ai sentimenti, porterebbe sottrarci dalla volatilità del quotidiano. Poiché c’è bisogno di inscrivere la nostra finita esistenza dentro più ampi respiri dotati di senso. Invece perdiamo subito il futuro che incontriamo e rimuoviamo il passato, confinando lo sguardo in un qui ed ora perdurante e liquido.
Sommuovere i sentimenti, accoglierne la scossa, può essere atto importante se non addirittura eversivo contro l’odierno modus di banalizzare e intorpidire ogni cosa. Non va trascurato l’importante nutrimento che essi comportano alla nostra vita di relazione, alla nostra personalità sociale. Attraverso essi ci appassioniamo, c’indigniamo, prendiamo a cuore le cose avendone cura, siamo altruisti, tendiamo alla bellezza, ascoltiamo la vita, interroghiamo la morte, temiamo il sacro, ecc. Quel tramite caldo e fluente, contraltare all’algida impostazione degli apparati di funzionamento che ci assediano ovunque, ha bisogno di spazio e linguaggio. Può attuarsi come forza e animazione della ragione, collocarsi al centro d’istanze narcisistiche che il piacere ininterrotto sottrae alla densa progettualità, all’utopia, al desiderio sognante. Senza quel tramite scema la capacità di registrare la differenza tra il bene e il male, la qualità di un’azione (e la risonanza emotiva ivi sottesa), la sua gravità o la sua irrilevanza.
Voler mettere in scena l’insegnamento di padre David Maria Turoldo attinge direttamente a questo programma (sentimentale!) di resistenza umana votato a considerare l’attrito che la vita comporta ma anche a dare nuovo valore, “nell’imminenza della luce” a una società privilegiata e apatica.
Novembre 2013 : Turoldo Vivo